ANTEPRIMA
Quando noi morti ci risvegliamo
di Leonardo Manzan, Rocco Placidi
Regia Leonardo Manzan
Con Eva Cela, Pietro Giannini, Fabiola Leone, Irene Mantova, Riccardo Rampazzo, Daniele Valdemarin
Scenografia Giuseppe Stellato
Costumi Graziella Pepe
Sound design Franco Visioli
Luci Simone De Angelis
Assistente alla regia Andrea Lucchetta
Quando noi morti ci risvegliamo è un titolo di Ibsen, ma lo spettacolo che faremo non c’entra nulla con Ibsen, o forse c’entra e noi non lo sappiamo, perché il dramma di Ibsen non l’abbiamo letto.
Ci siamo fermati al titolo che ci è sembrato subito molto bello, quasi che il seguito non potesse esserlo altrettanto e non volevamo rischiare.
Quando noi morti ci risvegliamo, titolo esplosivo. Una minaccia, una frase che fa tremare, adesso voi state tranquilli, ma quando noi morti ci risvegliamo, vedrete…
Forse è una frase che fa tremare più chi la pronuncia che chi la riceve. Soprattutto se la chiudi con un punto interrogativo. Quando noi morti ci risvegliamo?
Una domanda perfetta per un gruppo di sei ragazzi di poco più di vent’anni.
Qualcosa è appena finito, è morta un’epoca, una corrente, un modo di fare e di pensare.
Certo, il passato è ancora in giro, se ne vedono gli strascichi ogni tanto, si aggrappa al vuoto che si gli si è spalancato intorno sperando di tornare a riempirlo con la sua prepotenza.
Ciò che si annuncia però non lo riguarda.
Qualcosa è appena finito e qualcosa di nuovo sta per cominciare.
Sarà (deve esserlo!) completamente nuovo, un maremoto, la rivoluzione!
Sta. Per. È quel punto lì.
Dei morti prima del risveglio. In quel breve momento di pausa che c’è tra la fine e un nuovo inizio.
(Come gli apostoli all’ultima cena, la vera ultima cena, quella dopo che Gesù era morto.
È finito tutto, per sempre: e adesso che ci inventiamo? Papà se n’è andato e ci ha lasciato con un mare di debiti sotto forma di insegnamenti. Ma noi adesso che facciamo? Ci facciamo crescere la barba come lui? Basterà?).
Smarrimento, attesa, sentimento di onnipotenza e di totale irrilevanza, euforia e nostalgia precoce, cosa è stato e cosa sarà.
Risvegliarsi a vent’anni ed essere di nuovo condannati a sperare.
Tocca a voi. Questo è il vostro momento e il vostro posto.
Ma poi il momento non è mai adesso e il posto è ancora occupato.
Come il palcoscenico, su cui incombono le statue di tre grossi ominidi. L’età della pietra.
Cosa vogliono da noi? Perché non si tolgono dai piedi? Ci fanno ombra. Loro sono davvero minacciosi, e noi che volevamo spaventarvi! Ci sentiamo di nuovo piccoli e ridicoli.
Forse bisogna aspettare ancora un po’, occupare il tempo in cose futili, rispettare i ruoli, adeguarsi ai luoghi comuni che ci hanno cucito addosso, fare quello che loro si aspettano da noi.
Oppure distruggerli. Dormire altri cinque minuti o finalmente svegliarsi?
Ma in fondo, se gli antenati hanno ancora bisogno di un po’ d’attenzione, a noi sta bene.
Li lasciamo in pace e cerchiamo uno spazio diverso.
Oltretutto è l’ora dell’aperitivo. Quindi noi ce ne andiamo, voi fate un po’ come volete.
“Uffa, che barba! Uffa, che noia! Con questa frase si concludevano gli episodi di Casa Vianello, la sit-com televisiva che vedeva protagonisti Sandra Mondaini e Raimondo Vianello; dopo una giornata condita da episodi rocamboleschi, equivoci, comici litigi, la coppia si augurava la buonanotte con questa frase pronunciata dalla Mondaini, che diventò quasi uno slogan capace di entrare nel gergo degli italiani. Una frase che ormai associamo naturalmente a qualcosa di noioso, ripetitivo; i ragazzi spesso la utilizzano quando vengono chiamati dagli adulti a fare qualcosa che non vorrebbero fare, come ad esempio studiare. Per gli adulti, forse, è invece diventata una sorta di sentenza da applicare alla politica, quando continua a riproporci lo scenario di sempre senza alcuna novità o addirittura speranza. È una frase buffa che ci aiuta a sdrammatizzare, a volte, le miserie della vita, il non-senso del quotidiano.
È possibile che continuare gli studi dopo un triennio di Accademia, prolungarli per altri due anni, potrebbe essere un percorso da liquidare con un perentorio “Uffa, che barba!” Eppure, lo studio ricercato, scelto e voluto, che accresce ulteriormente il nostro bagaglio di conoscenze, può prepararci davvero alla prova del lavoro. Intitolare un biennio “Uffa, che barba!” non vuole essere una provocazione, ma una tematica su cui orientare due anni di studio, confronto e verifiche; due anni dedicati al tema della “barba” declinato in tutte le sue varianti: la noia, certo, ma anche le infinite barbe che popolano i testi teatrali o letterari, le favole, le barbe di personaggi realmente esistiti o quelle dei protagonisti della settima arte. Una frase ironica, quindi, che possa accompagnarci offrendo la possibilità di indagare più linguaggi e più mondi di espressione artistica.”
Antonio Latella
Ingresso gratuito con prenotazione alla email prenotazioni-pelanda@accademiasilviodamico.it
Le prenotazioni aprono 5 giorni prima dello spettacolo.