Traduzione, adattamento e regia di Giovanni Greco
Musiche Daniela Troilo
Con gli allievi del secondo Anno dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica ‘Silvio D’Amico’
9 agosto ore 21
Cosima Centurioni, Leonardo Cesaroni, Davide Fasano, Riccardo Rampazzo, Paolo Sangiorgio, Sara Younes, Claudia Tortora.
Assistente alla regia Fabio Carta, allievo del II anno di regia
10 agosto ore 21
Giorgia Fagotto Fiorentini, Pietro Giannini, Adele Maria Masciello, Matteo Santinelli, Marco Tè, Samuele Teneggi, Irma Ticozzelli.
Assistente alla regia Antonella Lo Bianco, allieva del III anno di regia.
Foto di scena Michele Calocero
Le Baccanti, ultima opera di Euripide (andate in scena nel 404 a. C.), epilogo della grande vicenda del teatro ateniese del V secolo che muore con la sconfitta di Atene nella Guerra del Peloponneso e della democrazia, rappresentano un’opera multipla. Il ritorno a Tebe di Dioniso e del suo culto e la vendetta che il dio si prende delle sorelle della madre Semele e di Penteo, figlio di Agave che si oppone alle derive irrazionali del bacchismo, diventano l’occasione per intrecciare sperimentazioni linguistiche e tracce tematiche di straordinaria attualità. Il lavoro di messa in scena va nella direzione di recuperare gli aspetti più interessanti di questo testo paradigmatico, dove si mescolano teatro nel teatro e antefatti della saga tebana, religione come adesione fideistica e religione come fondamentalismo.
Ma più interessante estrapolare nella direzione di una messa in scena che guardi al contemporaneo la relazione storica e terapeutica tra le menadi invasate da Dioniso e le tarantolate del Salento, preda di pulsioni erotico-animalesche da far emergere con la danza il canto e i colori; i fortissimi punti di contatto tra la mitopoiesi dionisiaca e quella cristologica che hanno addirittura permesso allo Pseudo Gregorio Di Nazianzo di scrivere nel XII sec. d.C. un Christus patiens con i versi euripidei della morte di Penteo che noi conserviamo a tutt’oggi solo grazie a lui; ultimo ma non meno importante focalizzare l’attenzione su un testo teatrale e su un personaggio che è dio del teatro rendendo questo testo uno dei primissimi esempi di metateatro e di messa in scena del travestimento, cioè dell’ambiguità di genere come peculiarità della semiotica teatrale.
Dunque, un testo che permette un approccio ibrido, meticcio, che ha avuto un grande revival nel secondo Novecento proprio per la sua tensione mai risolta tra razionale e irrazionale, tra apollineo e dionisiaco, tra ragione e passione (anche religiosa), in un rapporto da ridefinire continuamente e proficuamente tra uomo e natura, tra uomo e artificio, tra corpo e spiritualità (così ben delineato nel libro di M. Fusillo, Il dio ibrido) che ancora oggi non finisce di interrogarci.
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