
Il male sacro di Massimo Binazzi
regia Antonio Latella
con Ilaria Arnone, Jacopo Carta, Vanda Colecchia, Eny Cassia Corvo, Leonardo Della Bianca, Chiara Di Lullo, Leonardo Di Pasquale, Luca Ingravalle, Fabiola Leone, Paolo Madonna, Federico Nardoni, Fausto Stefano Mario Peppe, Maria Vittoria Perillo, Domenico Pincerno, Michele Scarcella, Maria Grazia Trombino, Teresa Vigilante
assistenti alla regia Consuelo Bartolucci, Fabio Faliero, Enrico Torzillo
supervisione all’allestimento scenografico Graziella Pepe
ripresa della scenografia dello spettacolo In cerca d’autore diretto da Luca Ronconi di Bruno Buonincontri
costumi Graziella Pepe
movimenti e supervisione coreografie Francesco Manetti
coreografie Luca Ingravalle, Fabiola Leone
luci Simone De Angelis
consulenza progetto sonoro Franco Visioli
Mara (Of ficial Soundtrack “Il Male Sacro”) di Meta & Upnea
organizzazione Brunella Giolivo
video Lucio Fiorentino
fonico Marco Fasciana
direttore di scena Alberto Rossi
sarte di scena Loredana Spadoni, Maria Giovanna Spedicati
costume della Madonna realizzato da Annelisa Zaccheria per Eduardo II diretto da Antonio Latella
Lo spettacolo debutterà in prima nazionale il 7 luglio 2023 al 66° Festival dei Due Mondi di Spoleto
Teatrino delle 6 • Luca Ronconi – Spoleto
debutto e maratona venerdì 7 luglio
ore 15.00-19.00 I parte (I e II atto)
ore 21.00-24.00 II parte (III e IV atto)
sabato 8 luglio ore 15.00-19.00 I parte (I e II atto)
domenica 9 luglio ore 14.00-18.00 II parte (III e IV atto)
Biglietti €25
Info prenotazioni
biglietteria@festivaldispoleto.com
festivaldispoleto.com/spettacoli/biglietti
Il Male sacro, quello che gli antichi definivano tale, è quell’epilessia che assale il corpo e lo scuote, ma anche quell’epilessia che assale la terra e la scuote, la fa tremare, la annienta portandosi via civiltà e inciviltà. Quell’epilessia che ci rimette a contatto con una lingua violentata, quella di Binazzi. Un viaggio in una lingua evocativa, colma di mistero, spezzata e a tratti resa macerie e cenere; una lingua allucinata, dove l’andamento del testo crea una sorta di viaggio medianico all’interno del quale i ricordi diventano memoria, quadri di una Via Crucis di una famiglia fagocitata dal potere politico, dalla tensione di un’Italia corrotta nelle radici governative. Una Italia fanalino di coda dell’Europa o porta spalancata all’Europa, il tacco del grande stivale. Un affresco storico che viene costruito come un’evocazione degli spiriti, una sorta di seduta spiritica che rende allucinata ogni battuta; si muta in una lingua di serpente che perde la pelle e si mimetizza nascondendo verità incestuose camuffate in un andamento neorealistico che si abbandona ad aperture melò e favolistiche, fino a prendere il corpo tragico di una moderna tragedia che non si fa mai contemporanea. Consegnare questo materiale al terzo anno dell’Accademia Silvio d’Amico significa mettere in mano ad ogni allievo una materia da plasmare perché venga abitata dall’essere loro stessi materia viva. Le battute diventano fatto artistico e non recitativo. La possibilità di avvicinarsi ad un rituale arcaico, che faccia dell’atto epilettico un avvicinamento all’estasi, dove si restituisce alla parola un corpo senza genitali; un’opera la cui identità artistica è la non identità. Un viaggio tra prosa e narrativa, in quella che sembra essere una forma di romanzo teatrale, purtroppo per troppo tempo dimenticata. Una sorta di corpo di ballo classico che si fa tamburo e si lascia percuotere creando una partitura ritmica che cerca di ritrovare la classicità in una riscrittura sciamanica di una partitura primordiale, blasfema e pagana. Quattro quadri, quattro immersioni in stili di narrazione completamente diversi, quattro linguaggi teatrali prepotenti nel loro essere ricordo e quindi mai reali memorie, rievocati come miraggi allucinati di una mente – deserto che innalza il proprio male al sacro, quella dell’autore e delle sue protagoniste, eroine di un regno arcaico che si annienta piuttosto che consegnarsi al nemico invasore.
Una taranta antica, dove la luce è una fiamma di un cero accesa ad una Madonna che spia il sacro e il profano di corpi che si sfidano come perle nere, rosario snocciolato da mani incartapecorite da un tempo che ha smesso di essere logico e consequenziale. Pazzia antica, di una famiglia di Atridi di quella ellenica Calabria che non vuole e non vorrà mai essere omologata ad una italianità troppo spesso figlia di un Atena clonata da un’idea di Ragione, ma in verità nata nei dolori del parto e non dalla testa di Zeus Padre. Rito laico ad un Dio troppo umano per essere divino. Gli attori allievi inseguono in coro un pifferaio magico, che in groppa ad un cavallo rubato al governo preferisce andare verso il mare piuttosto che verso la terra ferma.
La terra trema… la penisola laica che tutti anelavano resta un miraggio di chi non ha voluto genuflettersi alla religione dei governanti, figli di un Dio minore, la cui madre si è fatta corruzione e mafia. Pregare non ci salverà, se la preghiera ci rende servi del potere e mai oppositori (Antonio Latella)
FOTO: ©️ Spoleto Festival dei Due Mondi – Foto Andrea Veroni