Complesso e sorprendente lavoro con i diplomandi della D’Amico

SPOLETO, 08 luglio 2023, 14:07

di Paolo Petroni

È la fatica fisica, il sudore, la strenua mobilità, l’impegno anche mnemonico che non abbassa mai la qualtà attoriale dei diciassette giovani dell’Accademia Nazionale D’Amico, quando ancora non si capisce bene il senso di questo magmatico e imponente testo, Il male sacro di Massimo Binazzi, autore umbro scomparso a 60 anni nel 1983, dalla lingua quasi criptica, simbolica, densa e poeticamente allusiva, impostogli con uno spettacolo di diploma che supera le sette ore dal loro regista e insegnante Antonio Latella (con la supervisione coreografica di Francesco Manetti) che li ha comunque, evidentemente, molto ben preparati e guidati e ai quali, tra gli applausi finali, stringe le mani uno ad uno, capaci ancora di sorridere.

È l’ultimo, assieme al kafkiano ‘Una relazione per l’accademia con Luca Marinelli, grande appuntamento spettacolare di questo Spoleto 2023, e in esso l’autore, ambientandolo in una rurale arcaica Calabria di montagana tra fascismo e guerra, fa sentire evidente l’eco dei miti tragici greci dell’Orestiade, da Eschilo a Pasolini, dei complessi, drammatici intrecci famigliari e sociali con l’aggiunta di una simbologia biblica e cristiana tra passione e dannazione.

Il male sacro è l’epilessia di cui soffre Mara, che ha tre fratelli, Rosaria, Xenio e Alex, figli del padre padrone Pietro Morace e della moglie fedifraga Kyria (non a caso di origine greca cretese).

E, come Latella fa notare, il male sacro appare in trasparenza anche quello di questo meridione isolato in Aspromonte e lasciato indietro, quello di un paese dove si parla di un disoccupato ucciso e di rappresaglie contro azioni dei partigiani. Mara è un’Elettra dal destino sofferto, cosciente e perso assieme, e rappresenta la parte spirituale della vicenda, a contrasto col materialismo della sorella Rosaria e differente dall’amato fratello Alexis, quasi un Oreste destinato al sacrificio nella resa dei conti finale, ancestrale e divina assieme. Una conclusione liberatoria e cupa (‘Canto alle illusioni e la rabbia’) come tutto lo svilupparsi della vicenda, come la scrittura allucinata e visionaria che la sostiene, magmatica per ricchezza e quasi irrappresentabile. In questo senso una vera e propria sfida alla Ronconi di rendere intelleggibile un testo ipertrofico, in parte letterario, ricco, anche troppo ricco di cose e suggestioni, che Latella affronta, indagandone l’alterità con echi di Nekrosius, con bel vigore, grazie alla gioventù degli interpreti, liberi da stereotipi e ideologie. Allora la lettura sarà nera, ossessiva, come la giostra che all’inizio e alla fine gira sullo sfondo facendosi sfrenata trottola, come i simboli che compaionono via via, dai nitriti di cavallo all’ululato del lupo all’arrivo di uno scorpione, ma anche venata continuamente da una nota ironica, da spostamenti di senso (movimenti, interazioni, costumi con tutu – firmati da Graziella Pepe – da canti come Fratelli d’Italia a canzonette come Da da umpa), quasi a negare l’atmosfera ferale, che nasce sin dai presupposti con una madre zingara rimasta incinta per una violenza e che si impicca dopo la nascita del bambino, che verrà riconosciuto e chiamato Pietro, da chi per paura e rimorso se ne professa padre.

Nel già complicato lievitare del testo, dei personaggi e dei fatti, resta meno chiara la scelta di Latella, che spiega di aver sentito questo come “un testo ermafrodito”, di mischiare ulteriomente le carte assegnando indifferentemente varie parti a attori dell’altro sesso, a cominciare da Mara col suo male sacro e convivere con le visioni e le voci. A cercar di non far perdere lo spettatore in tutto questo intrecciarsi di fili di oggi e di ieri, ecco che appare una voce narrante che recita le didascalie, come gli attori all’inizio di ogni atto e parte annunciata, che descrivono la scenografia mentre la scena è nuda e bianca, vergine per la scrittura del dramma, che ogni tanto li vede così recitare in terza persona. Insomma, uno spettacolo fascinoso e sorprendente, ma una sfida anche per lo spettatore (nonostante i vari intervalli) per la quale tutti gli attori vanno messi sullo stesso piano: Ilaria Arnone, Jacopo Carta, Vanda Colecchia, Eny Cassia Corvo, Leonardo Della Bianca, Chiara Di Lullo, Leonardo Di Pasquale, Luca Ingravalle, Fabiola Leone, Paolo Madonna, Federico Nardoni, Fausto Stefano Peppe, Maria Vittoria Perillo, Domenico Pincerno, Michele Scarcella, Maria Grazia Trombino e Teresa Vigilante.

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