HAMLETMACHINE
ideazione regia scene e luci
ROBERT WILSON
testi
HEINER MÜLLER
Dopo 31 anni torna Hamletmachine di Heiner Müller nella visione di Robert Wilson con gli allievi diplomati dell´Accademia Nazionale d´Arte Drammatica ‘Silvio d´Amico´.
Una meditazione su Amleto e miriadi di altri argomenti, da altre opere di Shakespeare fino all´insurrezione ungherese del 1956, fino a un tipo di vendetta femminista sulla mascolinità incerta, che non racconta una storia e non sviluppa personaggi nel senso tradizionale.
Müller e Wilson condividono un misticismo pieno di immagini apocalittiche, distante tanto dalle convenzioni del teatro commerciale americano, tanto dalla pietà del socialismo realista.
Wilson consente alla parola parlata di essere ascoltata e capita. Il testo di Müller raggiunge gli spettatori attraversando un intenso paesaggio sonoro, così da rendere difficile la comprensione di cosa accada realmente in palcoscenico e cosa invece sia parte di una traccia sonora registrata. Raramente gli attori recitano liberamente senza distorsioni sonore. L´opera non si manifesta unicamente visivamente, ma piuttosto acusticamente, con un´estrema chiarezza e plasticità.
Un progetto di Change Performing Arts commissionato da Spoleto Festival dei 2Mondi per l´Accademia Nazionale d´Arte Drammatica ‘Silvio d´Amico´.
Concepito nel 1977 dopo il primo viaggio in America dell´autore, Hamletmachine nasce originariamente dall´incontro tra Heiner Müller e Robert Wilson, venendo alla luce quasi nove anni più tardi.
L´amicizia tra Robert Wilson e lo scrittore della DDR Heinrich Müller non fu solo leggendaria, ma anche estremamente produttiva: Müller scrisse testi per la Sezione Colonia di The Civil warS (1984), The Forest (1988) e La Mort de Molière (1994), e alcuni di questi vennero usati in Medea (1984), Alceste (1986) e Ocean Flight (1988).
Müller dichiarò successivamente che la versione di Hamletmachine concepita da Wilson fosse “il miglior spettacolo di sempre” nella sua intera carriera, celebrando l´opera per l´incredibile e innovativo impianto illuminotecnico e visivo e per la quasi totale assenza di interpretazione scenica. Elogiato da Gordon Rogoff nei suoi scritti come “un trionfo”, valse a Wilson un Obie Award come Miglior Regista.
La prima messa in scena risale al 7 maggio 1986 sul palcoscenico del teatro della New York University con la partecipazione degli allievi stessi; la versione tedesca segna invece il suo debutto il 4 ottobre dello stesso anno alla Kunsthalle di Amburgo. Lo spettacolo non è stato più ripreso da allora, e ritorna in scena quindi dopo ben 31 anni grazie alla commissione di Spoleto Festival dei 2Mondi e alla partecipazione dell´Accademia Nazionale d´Arte Drammatica ‘Silvio d´Amico´.
Müller preferisce la tragedia alle altre forme teatrali, perché gli permette allo stesso tempo di poter “dire una cosa e il suo esatto contrario” e non suggerire, invece, l´autodistruzione. Piuttosto offre così se stesso, spogliato all´essenziale. La fotografia stappata è quindi metafora del suo io spoglio, dannato, diviso.
Nulla in Hamletmachine può essere preso come lo si trova, ancor meno le nostre aspettative teatrali o la nostra esperienza Shakespeariana. Ma se questa fosse la sua unica innovazione, sarebbe soltanto un´altra versione delle frammentarie forme non lineari che hanno sovvertito il teatro drammatico sin da Woyzeck. A Müller non interessa la cronologia degli eventi, mescola così diversi periodi insieme, o episodi della sua stessa biografia. A differenza però della maggior parte degli americani, utilizza il palcoscenico come discorso pubblico piuttosto che la confessione privata.
Letteralmente, il testo sembra essere più di uno scarabocchio dadaista: Il cuore di Ofelia è un orologio, le prime parole pronunciate da Amleto son “Io ERO Amleto”, ma allo stesso tempo lster sostiene che fosse Macbeth; il terzo atto, “Scherzo”, si svolge all´Università dei morti; l´attore che interpreta Amleto non dovrebbe notare che i macchinisti stanno posizionando un frigorifero e tre televisori sul palcoscenico; nel quarto atto, Amleto attacca la testa di Marx, Lenin e Mao con un´ascia.
Ma anche se tutto questo potesse essere letteralmente rappresentato, Müller è comunque più provocante, astuto, teatrale, anche dei suoi più sfrenati sogni. In Wilson, Müller ha trovato il regista perfetto per dare vita/luce al suo scarabocchio, e in Muller, Wilson ha finalmente trovato il drammaturgo che può dare peso alle sue straordinarie e impalpabili visioni.
Una volta visto, nulla potrebbe essere più semplice di quella soluzione razionale, cubista e geniale di Wilson, ma non è probabile che chiunque altro avrebbe potuto immaginare qualcosa del genere.
La durata dello spettacolo è di un’ora e 40 minuti, atto unico.