HOTEL GOLDONI – intervista a Antonio Latella

 Dal 17 al 22 giugno al Teatro India va in scena Hotel Goldoni: tre spettacoli della Compagnia dell’Accademia per la regia di Antonio Latella, tra i più importanti registi del teatro italiano e internazionale. Benedetta Nicoletti, allieva del master in Drammaturgia, l’ha raggiunto al Teatro Studio Eleonora Duse, dove si stanno svolgendo le prove, per intervistarlo e capire meglio le relazioni tra la sua regia, i giovani interpreti, e il testo goldoniano.

 

Innanzitutto, perché Goldoni?

La scelta di Goldoni è stata fatta quando ho conosciuto i ragazzi: li ho voluti prima incontrare e poi ho cercato di capire che progetto presentare, quindi è stata una scelta che ho fatto proprio su di loro. Loro avevano piacere di lavorare su un classico perciò alla fine ho scelto Goldoni, per diversi motivi: primo, perché quando facevo l’attore Goldoni è stato per me in qualche modo un maestro; uno dei miei primi spettacoli ufficiali è stato La moglie saggia di Peppino Patroni Griffi, in cui recitavo. E poi molto importante per me, per la mia crescita da allievo attore a attore, è stato l’incontro con Massimo Castri, quando ho recitato nella Trilogia della villeggiatura. Per me Goldoni ha un valore di crescita, di scoperta. Poi l’ho affrontato dopo diversi anni stavolta come regista, in Germania, facendo anch’io la Trilogia della villeggiatura.

Lei ha già lavorato sul Servitore di due padroni, con un cast di professionisti. Quali sono le differenze nell’approccio al testo, tra quell’allestimento e questo con gli allievi dell’Accademia?

Innanzitutto, quando l’ho fatto nei teatri istituzionali c’era una riscrittura di Ken Ponzio, ed è stato un momento veramente importante per il teatro italiano perché è stato un momento anche di discussione, di confronto forte, con toni molto violenti in alcuni casi. È stato uno spettacolo che ha creato sconcerto, sia nel pubblico che negli attori, perché alcune volte le reazioni erano veramente molto forti. Nella sua riscrittura Ken aveva ascoltato un mio pensiero, che era quello di creare nel pubblico – non nello spettacolo, ma nel pubblico – qualcosa che facesse tornare la reazione davanti alla commedia dell’arte, come accadeva una volta nelle piazze. Purtroppo è successo veramente, fino a creare grande scompiglio. Ovviamente lì avevo degli attori professionisti, grandissimi personaggi del teatro italiano; ognuno di loro veniva da territori diversi del teatro importante, soprattutto dal teatro di ricerca, e portare l’attore del teatro di ricerca all’interno del teatro istituzionale aveva per me un valore incredibilmente politico. In questo caso, con i ragazzi, è diverso perché il testo viene rispettato totalmente nella sua scrittura; viene tradito l’approccio, ma non il testo. I ragazzi vengono portati attraverso Goldoni a giocare sui linguaggi del teatro, a prenderne consapevolezza e usarli come arma.

Lei ha scelto tre testi: La locandiera, Il servitore di due padroni e La moglie saggia. C’è un nucleo tematico comune?

Ho scelto questi tre testi e li faccio a ritroso, quasi come se fosse un andare indietro, verso un primo Goldoni partendo da un ultimo Goldoni. Ovviamente ci sono dei punti di collegamento: i luoghi, fondamentalmente la locanda, che è presente in due testi; il rapporto col cibo, il rapporto con i servi, la scomparsa della maschera. Ci sono vari temi che si spostano nei vari spettacoli. La cosa importante per me era che i ragazzi fossero davanti a qualcosa di più grande di loro, cioè che il testo fosse il maestro, non io; che questo lavoro fosse pedagogia. E sono molto contento che l’Accademia lo faccia all’India, perché credo che per i ragazzi sia qualcosa di molto importante.

Com’è stato lavorare con loro?

È sempre molto difficile da dire, perché in questi casi non ci si sceglie: non scelgo io l’attore, e non è l’attore che ha scelto di venire a fare un provino da me. Quindi sono momenti di incontro, di scontro, c’è anche poco tempo per conoscersi. Comunque è stato qualcosa di importante, perché mi sono molto affezionato a loro, forse perché sono degli animaletti in via di estinzione… C’è qualcosa in loro, che mi ha fatto pensare che io ero qui per loro e basta, non per me. Credo che questo loro l’abbiano capito. Ho cercato di ascoltarli, e di prendere i loro difetti e farli diventare pregi. Io non amo il metodo, diffido dal pedagogo che parla di metodo. Non lo giudico, ma diffido, perché è un po’ come l’aspirina: l’aspirina non va bene per tutti, ognuno di noi ha una reazione diversa. Il pedagogo, e non l’allievo, deve mettersi in discussione; ogni allievo è un mondo diverso, quindi un metodo non può andar bene per tutti. Credo che la pedagogia sia l’inizio di tutto, una pedagogia non corretta può creare dei problemi ai ragazzi che poi faranno gli attori, e di questo siamo responsabili.